"Chi l'avrebbe detto che baciando gli occhi di un uomo si possa vedere così lontano".
Alessandro Baricco, Oceano Mare
Capitolo
chiuso. Non perdo altro tempo, non allo specchio. Non sono nemmeno scesa dal
treno che già metto le cose in chiaro: «Non sono tornata per restare». Per quante volte l'ho detto, ho perso il conto. Più lo
ripetevo a me, allo specchio, agli altri, e più passavano le ore, i giorni, poi
i mesi e alla fine anche gli anni. E sono ancora qui. Ma se
qualcuno me lo domanda, che scherzi: «Io voglio andare via». Almeno è quel che rispondo, che mi racconto. Già, perché se
tante cose sono cambiate da allora, l'abitudine di raccontarmi delle storie
allo specchio, quella no. Anzi. Dallo specchio sono andate in pagina e non solo
su carta. Che non va tanto di moda da queste parti, oltre a costare caro a te e
al pianeta; meglio l'usa e getta, l'informazione usa e getta. O in offerta
speciale, prendi due e paghi uno: la dura legge del mercato. E sei una signora,
ma fai anche un figurone con due giornali sottobraccio. Ad ogni passo, un
brusio di sottofondo: «È
una che legge». E tu,
mentre acceleri il passo, pensi ai bei tempi andati... quando la carta dei
giornali era considerata un materiale prezioso. A casa mia, giù
Napoli dove vivevo una volta, la usavano, e forse la usano ancora, per
incartare le “marenne¹” o i
fritti: alzi la mano chi non conosce “il cuoppo²”?
Tenersi aggiornata, era semplice: bastava andare al mercato il sabato e facevi
sia la spesa che la rassegna stampa, di tutta la settimana. A casa dei miei, a
Terracina dove vivo adesso, per un po' ho comprato tutti i giorni un giornale
che gli altri non hanno mai pagato nemmeno quando c'era la lira, figurati un
euro. D'altronde come dargli torto, era una
free-press. Solo che deve esserci stato un “qui pro quo”, se non un
problema di ruoli, di scambio di ruoli: io pagavo loro, ma nessuno pagava me e
non ero l'unica. Non poteva durare, e infatti è finita così come era iniziata:
da un giorno all'altro. Quindi, se voglio stare al passo con i tempi, prendo un
caffè che il giornale lo leggo al bar.
Di rassegna stampa, nemmeno una all'ombra di Pisco
Montano. Peccato, che come lucida lo specchio la carta dei giornali,
nessuno mai. «Cosa vuoi che sia, ci riderai
su», botta e risposta
allo specchio. Che, per non saper leggere e scrivere, pensò bene di trovarmi un
lavoro. Per tenermi occupata? Macché, era che non ne voleva sapere di ascoltare
tutte le storie che avevo da raccontare. Mi specchio, incredula, ma lui mi
rassicura: «Sì, un
lavoro: hai sentito bene».
Ma lui vive di riflesso, non poteva saperlo che non era proprio un lavoro
lavoro, ma un quasi lavoro, simile ad un lavoro, ecco un lavoro verosimile.
Non c'è da
ridere: «Come lo chiamereste
voi un lavoro che ti porta a scrivere di una città dove c'è gente che in piena
campagna parcheggia la Vela, parla per frasi fatte, citazioni e aforismi e gira
controvento con
un 6x3?» Non c'è che
dire: ho fatto proprio una bella esperienza. Tanto che lo specchio stenta a
credermi. E per fortuna non gli racconto tutto. Come quando, al momento dei
saluti, il tappo salta: non perché ci fosse di che brindare, ma perché la
bottiglia era d'annata. E non solo mi prende in pieno, ma mi rimane l'amaro in
bocca quando, nel voltare pagina, metto su un
punto del passato e leggo: “Non hai vinto. Ritenta, sarai più
fortunato”. Meglio non farsi troppe domande, una sola: qual'era delle due, “non
hai vinto” e “ritenta...”, la battuta? Almeno per noi non è tempo di
risposte. Mi siedo e, mentre aspetto il
mio turno, immagino di fare il punto...
Seh, come glielo spiego ad uno di passaggio di che parlo? Meglio lasciar stare:
metto via carta e penna, le parole nella scatola... e cambio casa, di nuovo.
Da qui, dalla Stazione, si può solo andare via: «Ultima fermata, si scende: binario
morto», annuncia il
capotreno. In stand-by, un po' confusa ma
felice, vado al mare, anche se “il
mare non bagna più Napoli”, figurati Terracina. Era di nuovo finita la
carta, e che lo scrivo a fare. Il dubbio che ne facessi un uso sconsiderato,
venne prima allo specchio che a me. E siccome non dormiva la notte al pensiero
di dover passare il tempo, invece che a specchiarsi, a sentirmi, elaborò una
piano, a prova di stampante: web-log, un blog.
«Web che?», lo guardo perplessa. «Ma dove vivi? E sì che eri una
bambina, ma che non te lo ricordi come si scrive un diario? Ecco, è la stessa
cosa. Solo che – mi spiega lo specchio – lo fai leggere, invece che agli amici,
ai contatti; e invece della carta, usi la rete. Riciclo creativo, geniale no?» «Credi...», farfuglio mentre mi specchio. «Invece di parlare ad uno specchio,
vai su... Che aspetti?»
Ma anche così di tempo per non scrivere una storia che avesse un inizio, ma che invece non finisce mai, ne avevo fin troppo.
Non come prima quando c'era da andare in stampa. E il tempo per rileggere non
bastava mai, figurati per leggere... Leggere? Sì, l'idea stavolta era venuta a
me che leggere allo specchio non gli viene facile. Anche se non lo ammetterebbe
mai, per lui sono io che scrivo al contrario, allo specchio. Non restava che
iniziare, da una storia sospesa.
Da “Don Giovanni”,
per esempio. Non un “Don Giovanni” qualsiasi, ma il “Don Giovanni” per
eccellenza. «Subito a
pensare male, che avete capito: parlo di un libro, del “Don
Giovanni”. Si tratta
sempre dell'amore, avete ragione». E infatti, come “i grandi amori si annunciano in modo preciso
che appena lo vedi dici: ma chi è questo stronzo?”, anche il “Don Giovanni”
fece la sua figura il giorno dell'incontro. «Amore a prima vista», mi suggerisce lo specchio, e come il primo amore non si scorda mai, così la prima volta... in
libreria: un colpo di fulmine,
tante storie per giocare. Non è stato
subito però. Che non è stato facile,
quanto partire, tornare. Quando lo
incontro, è già un po' che giro da queste parti: non più a vuoto come i primi
tempi, e non solo a piedi, ma anche in bici. É in un Circolo, di idee, che,
mentre do una mano, anche due a volte, a quattro
amici, di tanto in tanto però, un giorno, in bella mostra, eppure in
disparte come se stesse in
un angolo, al buio, al riparo, trovo “Don Giovanni”. Distante, lo
(s)guardo. Poi senza dare nell'occhio, mi avvicino. E lo sfoglio. Chiedo in
giro una, due, tre volte, nel caso fosse di qualcuno. Ma sembra che nessuno faccia caso a
me, sono tutti presi da una festa o qualcosa di simile. Così per una settimana
mi tengo a distanza, di sicurezza. Finché una sera mi giro e siamo solo io e
lui. Non resisto, lo voglio. É allora che mi allontano con lui. Se solo ci
ripenso, divento rossa. Per cosa poi, non certo per vedere come andava a
finire: è finita prima di cominciare, la storia. Non sono nemmeno arrivata a
metà, del libro. Ora, che è tutto diverso, nel
taglio dei capelli e non solo, e che di tempo ne ho quanto ne voglio,
l'ho perso di vista, complice qualche trasloco di troppo, alla mia età. Faccio
per cercarlo, mi giro e non lo trovo. Non è al suo posto. Strano, in libreria
c'è scritto “non toccare”. Devo averlo messo nel cassetto, dei sogni. Vado, ma
ne trovo altri, non quello: inevitabile,
non era previsto. In garage, al sicuro in qualche scatolone, non c'è. La
soffitta non ce l'ho; sarà in giro insieme alle altre storie a metà, quelle da
cui ogni tanto entro ed esco come dalle porte girevoli. E che lascio in
sospeso, appena prima di partire. Ad ogni viaggio, erano lì a farmi compagnia:
pronti, via... alla Ferrovia.
Altri tempi: ora torno
a piedi da me. Non a casa. Giù il sipario,
via la maschera: non
sei quella che... vedi nello specchio. Aria, una boccata
d'aria. Esco e passo la notte in bianco;
solo che, invece di passarla a leggere, alterno musica e parole. Nelle notti bianche
i pensieri fanno tanto rumore che svegliano tutta la città, la mia città. Dove sei, dove sei, dove sei... qui,
non me ne sono mai andata. Lontani, ma vicini:
vado via. Metto le cuffie e in cambio di una storia da leggere, ne trovo una da
scrivere, riscrivere. Chiudo gli occhi, ogni tanto.
Solo adesso ho capito: era solo un
sogno, ad occhi aperti. Di
un'estate fa. Invece no, lo metto nero su bianco, in una pagina bianca, ancora
per poco. É tutto in
una penna: sì scrivo, in
levare. E battere su una tastiera,
come musica. Cammino, piano: è
meglio camminarci su, come con i crampi così con le idee fisse. Niente, se non un colpo all'anima:
l'ho perso. Anzi, ho lasciato che se ne
andasse in giro da solo, chissà con chi, chissà chi
ti dorme accanto. Lo sapevo che non era per me, il bookcrossing. Vado in
libreria, pago il conto ed esco con “Don
Giovanni”: una storia per grandi
e piccini, da salvare. Dell'altro, non c'è traccia se non un gioco di parole in una
storia, dentro me. Lo stomaco si chiude, senza ragione: niente paura, lo faccio per me. Non torno sui miei passi. Istruzioni per
l'uso: fragile. Da qui, ricomincio.
Attraverso
lo specchio: note
a margine e/o istruzioni
per l'uso.
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