domenica 29 gennaio 2012

Musica Maestro!


 Rita Alla



Man Ray, Il violino d'Ingres


"Senza la musica, - per Nietzsche - la vita sarebbe un errore”. Peccato che l'ho scopert(o)a quando era troppo tardi per recuperare il tempo perso ad «usarla», a scriverci su, invece che ad ascoltarla. Punto. Ma durante la Festa «la musica mi girava intorno», a metà tra una distrazione e una tentazione: perché resistere. Così armi e bagagli, matita e taccuino, sono partita alla volta della musica: «ciao, mi hanno detto di parlare con te per la musica: hai un minuto?» «Lascia perdere, non ti conviene», la risposta prima di passare alla domanda successiva: «che cos'è la musica?». Ma non sono io a farla, la domanda. Anche se dovrei farle io: «qui si mette male, non vinco facile, né conduco il gioco», penso. A salvarmi, arriva “un kenon-kenon che esce maschio”: colui che porta l'energia. Ma senza femmina, del tipo kenon, colei che prende l'energia, questa rimane intrappolata. Un errore, raccontarlo in giro. A una donna, poi. Così ho lasciato che fosse lei, la musica, a darmi il tempo; a guidarmi dentro la Festa, fino in fondo. Che dove le parole si fermavano, la politica si distraeva perdendo di vista cose e persone, le interferenze aumentavano provocando un suono disturbato o sporco, c'era la musica in sottofondo a farmi compagnia. O un gelato al gusto di bacio, in mancanza di risposte che non arrivavano. Eppure le volevo, quanto le volevo. Ma non è un interrogatorio, né un concorso a premi: mi hanno detto che non si vince niente. Si perde, ci si perde. Scommettendo tutto, per credere ancora. Puntando sulle realtà locali, su gruppi emergenti, su una proposta musicale che arrivi: facile e in modo semplice. Che è diverso da scontato. Alla base del successo, di pubblico, non di incasso : una cura maniacale per i dettagli. Poi quando lo spettacolo inizia, sei già stanco. Dalle prove, dai problemi di sempre, di ieri: meglio girare una cassa da 120 kg che spostarla; da un sound check imprevisto, più lungo del previsto; da un dibattito durato troppo; da un “kenon-kenon” che fa di testa sua o da una “mandata” che non funziona. Allora ci scappa anche una pausa sigaretta. Che fa la differenza se “cicchi” a terra o in un posacenere volante, di fortuna. Eccome, se quando metti la testa sul cuscino, è già tempo di alzarsi. Che «le occasioni mancate non ti fanno dormire. Attraverso ricordi di fatti e persone. Eterna ripresa, di una scena sospesa». E se pur «sono stati giorni che hanno lasciato il segno, giorni di tempesta e vento, l'impatto con il mondo è stato forte». Quindi «scegli tu, fra botte e rime, fra inizio e fine, ma scegli tu quando scriverai di noi, la rabbia l'innocenza l'illusione. Con tutto il volume». In disaccordo, gli altri a commentare. Una nota stonata in un clima di Festa. Che non guasta. Anzi. Eppure è come un nodo alla gola che prende allo stomaco, e arriva diritto, direzione pancia. Senza filtri o mediazioni. Dunque lo scrivo. Che esiste. Sì, «una musica può fare, può salvarti sull'orlo del precipizio». Basta lasciarsi andare. Che «non è mai un errore» perdere la testa ascoltando la musica. Quando, girato l'angolo, arrivano le risposte, è già tardi. E non rimane che un incontro per caso, una domanda: «ti hanno messo il cartellino pure a te?» Accenno «lavoro» come risposta. «Sì, ma a te chi ti paga?», controbatte il guastafeste. Cala il sipario, in silenzio e in anticipo, ma rimango ad ascoltare: «lei ha gli occhi di una donna che è mia. Quando finalmente sceglierà, invece di continuare a farsi scegliere». Da quel momento un pesce fuor d'acqua, in incognito. Quasi una principessa, metà bambina e metà automa, un robot. Ma a cosa stavo pensando prima di perdermi? A Don Giovanni, forse. Ma non state a far pettegolezzi. Anche se le parole nere sulla pagina bianca sono l'anima messa a nudo. Che è ora di lasciarsi, è mattina. E devo andare a lavoro.