Rita Alla
Man Ray, Il violino d'Ingres |
"Senza
la musica, - per Nietzsche - la vita sarebbe un errore”.
Peccato che l'ho scopert(o)a quando era troppo tardi per recuperare
il tempo perso ad «usarla»,
a scriverci su, invece che ad ascoltarla. Punto. Ma durante la Festa
«la musica mi girava intorno»,
a metà tra una
distrazione e una tentazione: perché resistere. Così armi e
bagagli, matita e taccuino, sono partita alla volta della musica:
«ciao,
mi hanno detto di parlare con te per la musica: hai un minuto?»
«Lascia perdere, non ti
conviene»,
la risposta prima di passare alla domanda successiva: «che
cos'è la musica?».
Ma non sono io a farla, la domanda. Anche se dovrei farle io: «qui
si mette male, non vinco facile, né conduco il gioco»,
penso. A salvarmi, arriva
“un kenon-kenon che esce maschio”: colui che porta l'energia. Ma
senza femmina, del tipo kenon, colei che prende l'energia, questa
rimane intrappolata. Un errore, raccontarlo in giro. A una donna,
poi. Così ho lasciato che fosse lei, la musica, a darmi il tempo; a
guidarmi dentro la Festa, fino in fondo. Che dove le parole si
fermavano, la politica si distraeva perdendo di vista cose e persone,
le interferenze aumentavano provocando un suono disturbato o sporco,
c'era la musica in sottofondo a farmi compagnia. O un gelato al gusto
di bacio, in mancanza di risposte che non arrivavano. Eppure le
volevo, quanto le volevo. Ma non è un interrogatorio, né un
concorso a premi: mi hanno
detto che non si vince
niente. Si perde, ci si perde. Scommettendo tutto, per credere
ancora. Puntando sulle realtà locali, su gruppi emergenti, su una
proposta musicale che arrivi: facile e in modo semplice. Che è
diverso da scontato. Alla base del successo, di pubblico, non di
incasso : una cura maniacale per i dettagli. Poi quando lo spettacolo
inizia, sei già stanco. Dalle prove, dai problemi di sempre, di ieri: meglio girare una cassa da 120 kg che spostarla; da un sound check
imprevisto, più lungo del previsto; da un dibattito durato troppo; da un “kenon-kenon” che fa di testa sua o da una “mandata” che
non funziona. Allora ci scappa anche una pausa sigaretta. Che fa la
differenza se “cicchi”
a terra o in un posacenere
volante, di fortuna. Eccome, se quando metti la testa sul
cuscino, è già tempo di alzarsi. Che «le
occasioni mancate non ti fanno dormire. Attraverso ricordi di fatti e
persone. Eterna ripresa, di una scena sospesa».
E se pur «sono
stati giorni che hanno lasciato il segno, giorni di tempesta e vento,
l'impatto con il mondo è stato forte».
Quindi «scegli tu, fra
botte e rime, fra inizio e fine, ma scegli tu quando scriverai di
noi, la rabbia l'innocenza l'illusione. Con tutto il volume».
In disaccordo, gli altri a commentare. Una nota stonata in un clima di Festa. Che non guasta.
Anzi. Eppure è come un nodo alla gola che prende allo stomaco, e
arriva diritto, direzione pancia. Senza filtri o mediazioni. Dunque
lo scrivo. Che esiste. Sì, «una
musica può fare, può salvarti sull'orlo del precipizio».
Basta lasciarsi andare. Che «non
è mai un errore» perdere
la testa ascoltando la musica. Quando, girato l'angolo, arrivano le risposte, è già tardi. E non rimane che un incontro per caso, una domanda: «ti
hanno messo il cartellino pure a te?»
Accenno «lavoro» come risposta.
«Sì, ma a te chi ti
paga?», controbatte il guastafeste.
Cala il sipario, in silenzio e in anticipo, ma rimango ad ascoltare:
«lei
ha gli occhi di una donna che è mia.
Quando finalmente sceglierà, invece di continuare a farsi scegliere».
Da quel momento un pesce fuor d'acqua, in incognito. Quasi una
principessa, metà bambina e metà automa, un robot. Ma a cosa stavo pensando
prima di perdermi? A Don Giovanni, forse. Ma non state a far
pettegolezzi. Anche se le parole nere sulla pagina bianca sono
l'anima messa a nudo. Che è ora di lasciarsi, è mattina. E devo
andare a lavoro.